Meravigliosamente Annie Féolde

È il 1969. Annie Féolde è una venticinquenne di Nizza che, dopo un soggiorno a Londra per migliorare l’inglese, vuole imparare anche l’italiano. Decide di farlo a Firenze. Poco dopo incontra un giovane sommelier, che si chiama Giorgio Pinchiorri. Si alleano. Nel 1972, Giorgio compra l’Enoteca Nazionale, dove lavora, e Annie decide di collaborare con lui. La storia dell’Enoteca Pinchiorri diventa il percorso di due persone che hanno capacità, visione e dedizione al lavoro straordinarie. Annie, nipote di albergatori di Nizza, senza alcuna esperienza in cucina, nel 1992 diventerà la prima donna fuori dalla Francia a ottenere 3 stelle Michelin, la quarta in assoluto. Sono primati che nemmeno le Olimpiadi le avrebbero dato. Come ha imparato a cucinare? Con i libri di ricette dei grandi cuochi, non come si fa ora, con l’apprendistato nelle cucine stellate in giro per il mondo. Una strepitosa autodidatta.

Sono seguiti decenni di primati, di aperture all’estero, e la collaborazione con due chef nella cucina che lei sovrintende (oggi sono Riccardo Monco, con lei dal 1993, e Alessandro Della Tommasina che nel 2015 ha sostituito Italo Basso).

Signora Féolde, il primo lockdown l’ha colta mentre era in visita ai parenti, a Nizza. Si è trovata a doversi fermare nella casa dove è nata, in campagna. Com’è andata?

“Sono stata molto bene, soprattutto ho lavorato moltissimo in giardino e in casa, per rendere tutto più bello”.

Non si è sentita sola, abituata com’è a un lavoro collettivo come quello che si svolge tra sala e cucina?

“In realtà ero con mia zia di 92 anni. Pensi che cucinava per me, adora farmi da mangiare. Non ero io che le ho chiesto di disturbarsi per me, è lei invece che vuole sempre aiutarmi. È stato molto piacevole, abbiamo una bella intesa”.

Poi, quando in giugno ha potuto tornare a Firenze, ha trovato una città diversa da come la conosceva.

“Poca gente, e ospiti dell’Enoteca molto attenti a questa brutta malattia. Americani, belgi, italiani, persone molto simpatiche e gentili. Per me è stato un piacere tornare a vedere le persone e a parlarci, dopo aver avuto la paura di non vedere più nessuno”.

Come si reagisce a questa stagione caratterizzata dall’incertezza, che sta mettendo a dura prova chiunque abbia un’attività nel campo dell’accoglienza?

“Bisogna avere la voglia di tirare avanti, e noi l’abbiamo, e soprattutto bisogna produrre idee che siano adatte ai tempi. Dobbiamo mantenere alta l’attenzione e il controllo sui buoni prodotti della cucina, e anche sul buon modo di cucinare. Ovviamente è molto importante ricercare per il bene della cucina, se necessario andando incontro a cambiamenti. Nel menu, le cose che si mettono insieme devono essere interessanti e gustose ma non esagerate, perché è inutile fare ricerche strane: il bello e il buono della cucina, cioè quello che i clienti cercano da noi, resterà sempre nella semplicità e nella qualità. Certamente abbiamo dovuto adeguarci alle restrizioni: avevamo 20 ragazzi in cucina e 20 in sala. Ora sono un po’ meno. Abbiamo anche dovuto diminuire anche lo spazio dedicato ai clienti. Prima erano 60 posti, ora non più di 20, 30”.

Lei continua a occuparsi della cucina o si dedica maggiormente all’organizzazione?

“Io sovrintendo regolarmente il menu proposto dai miei chef. Primo e secondo chef sono meravigliosi e hanno sempre delle buone idee, ma a volte mi piace aggiungere un pochino di limone o di sedano… cose simili, insomma, dettagli. Non ho mai smesso di assaggiare e aggiungere, di correggere qualcosa nei piatti che proponiamo.

Quanto alla sala mi affido al bravissimo Alessandro Tomberli, e poi, ovviamente, c’è Giorgio Pinchiorri. Tutti siamo strenuamente impegnati a fare sempre il meglio”.

Come sono i rapporti con i suoi chef?

“Riccardo Monco è con me da 25 anni, o forse di più: per me è un figlio. È bravissimo e gentilissimo, con lui abbiamo affetto e stima e uno scambio continuo. Anche Alessandro Della Tommasina è particolarmente bravo. Me lo ha consigliato Monco. È una meraviglia per il pesce e per gli uccellini. Lui va a caccia e dunque si intende di animali selvatici e fa dei piatti stupendi: profumo, estetica e bontà della materia prima, che non bisogna rovinare durante la cottura. Basta poco perché la carne diventi dura o molle”.

Le sue esperienze televisive, come giudice a Top Chef Italia, cosa le hanno dato?

“Diciamo che non hanno portato clienti all’Enoteca Pinchiorri. Ma per me è stato un piacere assistere alle dinamiche personali. All’inizio ero sorpresa, non mi aspettavo un’esperienza simile. Mi sono trovata di fronte 15 giovani a cui dovevo rispondere e spiegare, giovani che avevano anche 12 anni! È stato davvero molto simpatico.”

Quando è tornata all’Enoteca, dopo il lockdown a Nizza, cosa ha chiesto che le preparassero?

“La prima cosa che mi sono fatta preparare sono state due uova in padella. Erano tutti occupatissimi, e io adoro le uova e le cose semplici!”

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